I grani antichi

I grani antichi

Il termine “grani antichi” è un termine molto utilizzato di recente per identificare tutta una serie di grani che furono alla base dell’alimentazione delle civiltà mediterranee prima di essere progressivamente sostituiti dalle moderne varietà di frumento e che ora vengono riscoperti per le loro caratteristiche nutrizionali e per la loro capacità di adattarsi al metodo produttivo biologico.

Le motivazioni per cui tali grani furono abbandonati sono principalmente riconducibili alla ridotta capacità di competere con le produzioni dei “grani moderni“.
Ad oggi quelle che potevano essere delle criticità, nell’ambito di un approccio produttivo convenzionale, sono addirittura dei punti di forza nel quadro di un modello agricolo di qualità sia sotto il profilo ambientale che nutrizionale.

Il “Senatore Cappelli” è un frumento duro selezionato nel 1915, di colore giallo ambra molto intenso, con un elevato contenuto di proteine, nonché di lipidi, vitamine e minerali (come potassio, magnesio e selenio). La bassa quantità di glutine insieme alle altre caratteristiche lo rendono facilmente digeribile. Il suo nome è dedicato al Senatore Raffaele Cappelli che agli inizi del ‘900 fu promotore della riforma agraria per l’introduzione di varietà più adattabili e produttive nell’agricoltura e per la distinzione dei grani teneri dai grani duri. La sua coltivazione è stata molto diffusa in Italia tra gli anni ‘20 e ‘50 per la sua adattabilità e qualità, ma fu in seguito sostituita da grani duri più produttivi.
La farina ottenuta dal grano Senatore Cappelli è considerata una farina pregiata, che mantiene un sapore e contenuto nutrizionale inalterati nel tempo. Lo sfarinato ottenuto da questo cereale ha un ottimo contenuto di proteine, fibre, zinco e potassio, basso contenuto di sodio, calorie e grassi (naturalmente privo di colesterolo).
Il gusto riscontrato nei prodotti finali è gradevole e corposo, il tutto esaltato dalla macinazione a pietra e qualora possibile dall’uso di lievito madre.

La saragolla è un cereale “antenato” dei moderni grani duri.
Fu introdotta dalle popolazioni proto bulgare di Altzec, che provenivano dall’Egitto nel 400 d.C.; la stessa denominazione Saragolla è bulgara, composta da SARGA = giallo e GOLYO = seme e significa letteralmente  “chicco giallo”. Un grano molto speciale, duro e vitreo come l’ambra, che produceva farine color giallo intenso.
Dal medioevo fino al XVIII secolo numerosi documenti storici lodano le qualità dei grani chiamati “Saragolla”: fra le varietà conosciute, la Zingaresca, la Bulgara, la Bulgara di Capo Palinuro, la Saragolletta del Sannio, quella che destava maggior interesse era la Saragolla Turchesco per le sue doti di resistenza ai parassiti, refrattaria all’allettamento, alla stretta della ruggine.

Il grano Saragolla è una varietà del grano Khorasan, povero di glutine ma ricco di nutrienti, selenio e beta carotene. Dopo una fase di declino dovuta al sopravvento dei grani duri più produttivi, questa varietà rimase la più coltivata solo nel versante adriatico del centro Italia: l’ibridazione delle spighe ha accentuato la sua emarginazione. Attualmente la Saragolla sopravvive solo in determinate aree del centro sud, grazie ai singoli coltivatori che hanno continuato a seminarlo.

Frumento tenero, rustico che ben si adatta alla coltivazioni ad altitudini superiori ai 600 metri. Particolarmente diffuso nell’areale abruzzese, il suo utilizzo nell’epoca medievale è ben testimoniato. La Solina ha un basso contenuto di glutine e la farina che si ottiene dalla sua macinazione si adatta molto bene alle lavorazioni manuali ed alla produzione di pane e pasta fatta in casa.